Se i clienti ti apprezzano/amano, sono convinti della tua lealtà e della verità delle affermazioni sui benefici del prodotto. Il packaging, alla pari del design, rappresenterà queste autenticità.

Gli occhi del consumatore e la sua esperienza nel leggere le informazioni quando si trova al cospetto del prodotto sono il codice inviolabile del nostro lavoro. Nel packaging come – e lo ribadiamo – nel design, non esistono interpretazioni, ma matrici nelle quali l’acquirente si deve incastrare “perfettamente”: più l’incastro e agevole e meno servirà la spinta, la pressione o l’intervento di un venditore, fisico o digitale.

Se l’incastro non avviene o, peggio, non avviene più, è perché non c’è la corrispondenza rispetto alla risposta del desiderio da soddisfare: “Non è abbastanza green, non è abbastanza semplice, non è abbastanza sofisticato, è abbastanza banale, non è più quello di una volta…”.

C’è un’abbastanza che si è perso per strada o che non è stato aggiunto in tempo. A volte dipende dal prodotto, più spesso dal suo vestito. Complesso nel dirlo, molto più complesso nella creazione; il packaging non è soggettivo, perché rappresenta innanzitutto l’identità del brand e poi la verità del prodotto secondo il suo utilizzatore.

Quindi?

L’argomento richiede le centinaia di libri che sono stati scritti: il packaging e così complesso che ha bisogno di precise competenze ed esperienze. Di test, di sondaggi e di coraggio. Di solito in azienda tutti sanno come dev’essere un buon packaging: ognuno a buon diritto si sente di esprimere opinioni: in fondo, basta prendere quello di successo della concorrenza e andare per similitudini. È vero, il confronto è il primo atto che si deve fare per capire dove ci poniamo sullo scaffale mentale; inizialmente serve a rassicurare di intraprendere la strada giusta. Anche se la domanda da porsi sempre è: “Se diventi simile al concorrente, perché un consumatore dovrebbe acquistare te?”. Che in effetti è la prima domanda alla quale rispondere: perché il consumatore dovrebbe comprarti?

L’altra osservazione riguarda l’impatto: “Non colpisce, non cattura l’attenzione, se lo mettiamo insieme agli altri non viene fuori”. Osservazioni comunque da considerare, anche se oggi il “catturare l’attenzione” avviene prima e durante; la tecnologia ci viene in aiuto, affinché l’impatto sia: “Eccoti qua, amico mio, ti aspettavo! Ti conosco”.

Vent’anni fa – più o meno – la Barilla mise all’interno dei supermercati una lampada lampeggiante in prossimità del lineare della pasta. Aveva impatto, certo, tanto che si vedeva anche dallo scaffale opposto. Ha funzionato? Non abbiamo i dati, ma per il fatto che è sparita dopo pochissimo tempo e mai più è ricomparsa, fa pensare che fu un fiasco clamoroso.

Anche l’impatto dev’essere coerente col “vestito” del prodotto. In particolare, l’era della comunicazione digitale ha cambiato i paradigmi e quindi l’impatto a scaffale è cambiato. Si avvicina molto di più all’impatto che genera un prodotto fashion. Il vestito che ti rappresenta lo cerchi e lo accogli. Anche se ti colpisce, non sempre entra nel tuo bisogno, anzi, proprio l’essersi troppo esposto diventa scostante o, peggio ancora, ammiccante.

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Vestire un prodotto è il nostro piatto del giorno.

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