Nuove frontiere all’orizzonte?

È l’interrogativo che ogni mattina il marketer deve porsi. Nel mentre, presidia i suoi brand cogliendo la velocità dei cambiamenti culturali che aumentano la distanza fra le generazioni.

Un cliente fidelizzato vale molto, è già soddisfatto! Ma è indispensabile comunicare continuamente verso i clienti che ci conoscono e sono fedeli? La risposta è . Abbiamo il compito di sostenere la predilezione dei clienti nei nostri confronti, soprattutto perché i competitor non stanno in silenzio, agiranno sul bisogno di innovazione e cambiamento.

C’è un parametro che inesorabilmente cambia, ed è il tempo. Ci aiuta a capire la categorizzazione delle diverse età dei consumatori:

Baby Boomer (nati tra il 1946 e il 1964).
Generazione X (nati tra il 1965-79).
Millennial (nati tra il 1980-96).
Generazione Z (nati tra il 1997-2012) .
Generazione Alpha (nati dal 2012 in poi, che oggi quindi sono sotto i 12 anni).

Fra nonni, genitori e figli ci sono distanze siderali di cultura e velocità di assimilazione dei modelli che cambiano. Quelli che fino a ieri erano i nostri consumatori, oggi stanno cambiando desideri (se non i bisogni) e non sono più lì ad allungare la mano per prenderci dallo scaffale o a cliccare sul nostro e-commerce.

Oggi le categorie cultural-mentali restano… Ma è l’età degli appartenenti che può davvero variare molto. Ci sono ventenni che è possibile eleggere fra i boomer e viceversa, quindi l’età non è una discriminante, non più. Per questo le vecchie classificazioni socio-demografiche non aiutano più.

Riconoscimento, ri-conoscenza e fidelizzazione

La convinzione di essere approdati a conoscere bene gli atteggiamenti e le esperienze dei consumatori ci aveva spinto a pensare che fidelizzare un cliente fosse un compito più semplice, una volta raggiunta la soddisfazione di un bisogno con l’uso o il consumo di un prodotto. Era fatta: più coerenza = più affetto. Un affetto indotto tra consumatore e big spender in pubblicità su TV, radio e carta stampata: “Io consumatore valgo, per questo tu spendi un sacco di soldi per parlarmi”. Dal riconoscimento, l’io so che tu sai faceva entrare in gioco la ri-conoscenza: “Io conto perché tu mi riconosci e mi idealizzi con la notorietà del testimonial che mi rappresenta”.

Nell’era della digitalizzazione delle informazioni, però, non ha più senso leggere il mercato attraverso questi modelli. Posto che non è possibile parlare a tutte le generazioni allo stesso modo, siamo convinti che ciascuna generazione abbia il proprio linguaggio immutato nel tempo? Se da una parte ci si distanzia per cultura e stili di vita, dall’altra ci si avvicina per esperienze e uso di strumenti di comunicazione digitali. Ma questo avvicinarsi, più che creare una – seppur parziale – omogeneizzazione, non determina invece, in termini di linguaggio adottato, una coesistenza di molteplici “dialetti” e “slang” difficili da codificare e da gestire da parte del marketer?

Difficoltà e correzioni di rotta nell’era digitale e social

Secondo il vecchio schema, i grandi brand hanno cercato di tradurre in ri-conoscimento i loro grandi investimenti nel canale digitale e di far sentire il loro pubblico ancora più importante col “ci guardiamo in faccia”. Si è trattato però di mettere in scena una rappresentazione non facile come prima, perché, a causa del suo peccato originale, l’era digitale è stata percepita e interpretata come “tante informazioni a costi molto bassi”. Questo, da una parte ha drasticamente abbassato il valore percepito dei messaggi pubblicitari, mentre dall’altra ha generato nel target un nuovo sentiment di resistenza: prima lusingato, ma subito dopo preoccupato (o anche solo infastidito) dalla violazione grossolana della sua privacy. Per garantire la fidelizzazione del proprio pubblico, alcuni big spender hanno dovuto/voluto correggere il tiro: “Tu per noi sei molto importante, per questo teniamo alla tua riservatezza”, sbandierandolo platealmente e ripetutamente. Hanno quindi avvicinato i propri clienti utilizzando gli influencer come mediatori. La cronaca di questo inizio 2024, però, sta delineando i limiti di questa strategia.

La destabilizzazione dell’AI

L’arrivo dell’AI ha fracassato il vecchio giocattolo della fidelizzazione… E per ora sembra che non abbiamo ancora idea di come rimetterlo in sesto. Sta nascendo un senso evidente di manipolazione, accettato per pigrizia: ineluttabile atteggiamento di chi pensa non ci sia difesa. Il modello marketing dall’avvento dell’intelligenza artificiale sembra a disposizione di tutti perché a basso costo, quando non a costo zero, e ha generato l’effetto del “tutto è possibile nella comunicazione”. E tutto è possibile, forse, ma certamente non tutto è credibile, per mancanza di autenticità, cosa che determina giocoforza un’assenza di fedeltà.

Per costruirsi una forte credibilità, ogni brand è chiamato a compiere scelte, azioni e comunicazioni non dettate da “facili entusiasmi e ideologie alla moda”, come cantava Lucio Battisti, ma da obiettivi di reputazione a lungo termine. Nell’impossibilità (o comunque nella grande difficoltà) di parlare, gestire o inseguire mille diversi “dialetti”, poi, utilizzando però argomenti e linguaggio autentici (cioè percepiti come tali), saprà farsi accogliere e rimanere nelle braccia del proprio pubblico, anche intergenerazionale, che forse non ha più necessità di sentirsi “premiato”, ma certamente sicuro e compiaciuto di aver fatto la scelta giusta, facendo parte di una “tribù” riconosciuta e nella quale vale la pena rimanere.

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Nel prossimo articolo approfondiremo la customer care e la messa in scena dei luoghi di vendita. L’esplosione di ChatGPT nell’industry moltiplica le apprensioni, ma al contempo – e soprattutto – le possibili applicazioni, proiettando nuove opportunità di business.

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